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Vincenzo Muccioli

Vincenzo Muccioli (Rimini, 6 gennaio 1934 – Coriano, 19 settembre 1995) è stato un filantropo italiano, fondatore della Comunità di San Patrignano dedicata al recupero delle vittime della tossicodipendenza.

Biografia[]

Vincenzo Muccioli nasce a Rimini il 6 gennaio 1934 da un’agiata famiglia. Primo di due figli, dopo gli studi, comincia a lavorare con il padre che gestisce un’agenzia di assicurazioni. Sin da ragazzo, coltiva la passione per gli animali e per l’agricoltura. Nel 1962 sposa la coetanea Maria Antonietta Cappelli, con la quale ha avuto due figli.

La fondazione della comunità di San Patrignano[]

Dopo il matrimonio, Vincenzo compra dei terreni più vicini a Rimini di quelli di famiglia per potersi dedicare più a fondo all’allevamento di pregiate razze canine e all’agricoltura. Questi terreni sono situati a San Patrignano, luogo destinato a diventare negli anni successivi sede della comunità terapeutica più grande d’Europa. Nella prima metà degli anni ’70, dopo essersi interessato insieme ad alcuni amici al problema dell’assistenza ai malati e alla medicina naturale, si avvicina direttamente alle problematiche del disagio e dell’emarginazione.

Nell’Italia degli anni ’70 questo voleva dire soprattutto tossicodipendenza, un problema di fronte al quale non esistevano all’epoca risposte concrete ed efficaci. Nel novembre del 1978 nella casa di campagna di Muccioli entra quella che sarà la prima ospite della comunità, una giovane tossicodipendente trentina, figlia di amici di famiglia. Nel giro di poco tempo vengono accolti molti ragazzi che chiedono aiuto. Il 31 ottobre dello stesso anno, quando il numero degli ospiti è arrivato ormai a trenta, viene costituita la cooperativa di San Patrignano che ha come suo obiettivo principale fornire assistenza gratuita ai tossicodipendenti ed agli emarginati.

Nel 1985 Muccioli ed i familiari rinunciano alle loro proprietà ed ai diritti ereditari, donandoli alla Fondazione San Patrignano costituita quell’anno. Da quel giorno, la comunità, per espressa scelta di Vincenzo Muccioli, appartiene a tutti coloro che vi operano e vivono o che ad essa si rivolgono in cerca di sostegno e di aiuto. L’operato del fondatore della comunità è sempre stato ispirato ai princìpi e valori che facevano parte della sua formazione culturale ed umana, come il rispetto per la vita e la dignità dell’uomo. Non a caso il modello di riferimento attorno a cui è cresciuta e si è sviluppata la comunità è stato quello della famiglia, di un luogo cioè dove la qualità del rapporto e delle relazioni fra le persone riproducesse la profondità e l’intensità di un vero nucleo familiare.

Morte[]

Vincenzo Muccioli è morto il 19 settembre 1995, dopo un' improvvisa malattia. Il giorno della sua morte, la comunità ospitava 2.000 giovani Template:Citazione necessaria. Andrea e Giacomo, i due figli di Muccioli, hanno preso il posto del padre alla guida della comunità e attualmente vivono e lavorano a San Patrignano.

Il maggiore, Andrea, laureato in giurisprudenza, è attualmente responsabile della comunità, mentre il fratello Giacomo, veterinario, è presidente del Comitato Organizzativo del concorso ippico internazionale CSI-A Challenge Vincenzo Muccioli e dell’edizione 2005 del Campionato Europeo di salto ostacoli e si occupa dei progetti di comunicazione e di raccolta fondi della comunità.

Controversie e procedimenti giudiziari[]

Nel corso della sua vita, Vincenzo Muccioli ha dovuto affrontare due processi. Il primo, nel 1984, detto Processo delle catene, concluso con un’assoluzione in corte d'appello e confermata in cassazione dall’accusa di sequestro di persona e maltrattamenti per avere incatenato alcuni giovani della comunità. Il secondo, nel 1994, ha portato a una condanna a otto mesi di carcere per favoreggiamento e a un’assoluzione dall’accusa di omicidio colposo per l’assassinio, avvenuto in comunità, di Roberto Maranzano. Nella sentenza, la corte mette in evidenza gli alti valori umani e sociali del suo operato.

La figura di Muccioli è stata oggetto di discordanti interpretazioni, talvolta contornate da animate polemiche, che hanno creato, nei media e nel mondo politico, fazioni opposte nella valutazione della sua opera. La controversia verte principalmente sui metodi di Muccioli a proposito di accuse di violenza avvenute all’interno della sua comunità, con eccessi talvolta sfociati in delitti anche gravi.

Durante il 15 Congresso mondiale di psichiatria sociale i professori Sergio De Risio e Mario Cagossi dell' Istituto di psichiatria dell' Università Cattolica del Sacro Cuore, definirono la comunità un paradosso a causa delle elevate dimensioni e del conseguente insorgere di focolai di violenza più o meno visibili e contraddicendo l' idea di comunita' terapeutica,fondata sulle piccole quantita' dei suoi membri e con un' organizzazione centrata sulle necessita' del singolo e del gruppo.[1]. Muccioli fu accusato di utilizzare un metodo coercitivo per trattenere gli ospiti all'interno della Comunità durante le crisi di astinenza e fu oggetto di procedimenti giudiziari al fine di verificare se tali coercizioni configurassero indebite restrizioni della libertà personale dei soggetti interessati [2]. Durante i processi emersero pubblicamente dettagli sull'uso di catene ed altri analoghi metodi di contenzione [3] [4]. Nel 1993 la rivelazione di un' ex ospite, Franco Grizzardi, diede nuova linfa alle polemiche: questi sosteneva che un ragazzo napoletano, Roberto Maranzano, dato per disperso dal 1989 dopo essersi allontanato in circostanze mai chiarite dalla Comunità, in realtà era stato ucciso dagli eccessi di un pestaggio subito nella porcilaia della struttura perché non si poteva alzare lo sguardo mentre si mangiava.[5][6].

Grazie alla collaborazione di questo pentito il cadavere di Maranzano fu rinvenuto in una discarica presso Napoli. L'autopsia rivelò che quanto denunciato era vero e che vi erano segni di percosse. Inoltre una cassetta registrata dall'autista di Muccioli, Walter Delogu, smascherava il fatto che Muccioli era sin dal primo momento a conoscenza del delitto, anzi cercava in quel dialogo di convincerlo a fare sparire il Grizzardi, diventato pericoloso in quanto continuava a ricattare minacciando di denunciare i fatti. Nella registrazione agli atti del processo ed ascoltata in aula il 2 novembre 1995 Muccioli, riferendosi ad uno dei testimoni dell'omicidio asserì che Ci vorrebbe un' overdose... due grammi d' eroina e un po' di stricnina... bisogna operare come con i guanti del chirurgo. Oppure bisognerebbe sparargli con una pistola sporca[7][8]. Queste denunce spinsero molti altri ospiti a denunciare percosse, violenze, addirittura violazioni della legge elettorale in favore di politici "amici" Template:Citazione necessaria.

Durante gli anni del processo, un ex dipendente di Sanpatrignano, presentandosi volontariamente al Commissariato di Polizia, dichiarò di aver ricoperto per anni il ruolo preposto al recupero e pestaggio dei fuggitivi [9]. Vennero pure allo scoperto alcuni strani suicidi, come quelli di Natalia Berla e Gabriele De Paola, avvenuti nella primavera dell'89 e quello di Fioralba Petrucci, risalente al giugno 1992. Tutte e tre le persone si sono suicidate mentre si trovavano in clausura punitiva all'interno della comunità, gettandosi dalle finestre delle stanze in cui erano chiuse. Per il caso Maranzano, Muccioli fu poi condannato ad un anno e 8 mesi (con sospensione condizionale) per favoreggiamento, mentre gli esecutori materiali incorsero in condanne dai 6 ai 10 anni.

In una sentenza seguente però la corte di cassazione sancì che fu un errore processare Muccioli per omicidio colposo e sarebbe dovuto essere giudicato di nuovo per l'omicidio di Roberto Maranzano con l'accusa di maltrattamenti seguiti da morte[10]. Nel maggio 2000, la corte di cassazione condanna per omicidio volontario Alfio Russo, ritenuto il principale responsabile della morte di Maranzano ,a dieci anni di reclusione, ottenuti grazie al patteggiamento. Paradossalmente a tutti vennero concessi gli arresti domiciliari nella Comunità.

Note[]

Collegamenti esterni[]

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